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PIETRO DENTRO
Appena varcata la rampa del parcheggio sotterraneo la pioggia sottile
riempì il vetro e con gesto automatico inserii il tergicristallo, media
velocità.
Nel tardo pomeriggio l’acquazzone era iniziato improvviso ed arrabbiato,
picchiettando alla finestra dell’ufficio al penultimo piano del palazzo dove
lavoro, ma immerso tra le carte ed al riparo non ci avevo dato che un’occhiata
di sfuggita.
Avevo fatto più tardi del solito ma adesso la giornata era proprio finita e
mi attendeva un sicuro e tranquillo tran tran in famiglia.
Girai a destra percorrendo il breve viale prima di immettermi su quello
principale dove confluivano tutti i piccoli viali dell’alveare di palazzi del
quartiere commerciale; c’era ormai pochissimo traffico ma mentalmente valutai
il possibile intasamento sull’imbocco della tangenziale; in accelerazione
passai accanto alla piccola piazza poco dopo l’unico bar della zona, ormai con
le insegne spente da ben più di un’ora.
Con la coda dell’occhio colsi un che di incongruo su una delle panchine.
Mi era parso di vedere come un manichino seduto su una di queste.
Detti un’occhiata al retrovisore ma la siepe di bosso che limitava la
piazzetta mi precluse subito la vista e scrollai la testa con noncuranza.
Qualche istante dopo il cervello mi proiettò l’immagine di un uomo.
Seduto sulla panchina.
Sotto la pioggia.
Un barbone, l’immediata risposta.
Sotto la pioggia, però.
E allora?
Niente, solo un barbone sotto la pioggia, puoi proseguire pure tranquillo.
Sentendomi uno stupido il piede si alzò dall’acceleratore, verificai dal
retrovisore e feci inversione.
Arrivai ed accostai con lentezza, pronto all’azione se qualcosa di anomalo
fosse in agguato ma anche convinto e speranzoso d’essermi sbagliato, in modo da
poter ripartire con la tranquillità del samaritano felicemente mancato.
Era proprio un uomo.
Il vestito scuro sotto il giaccone aperto, seduto con le gambe accavallate,
le braccia aperte sullo schienale, della panchina.
Sotto la pioggia.
Il volto piegato sul petto, i capelli schiacciati dall’acqua, il vestito
che sgocciolava nella pozzanghera ai suoi piedi.
Immobile.
Infarto, pensai, questo è già bell’e morto e nessuno se n’è accorto.
Motore sempre al minimo, giù il finestrino.
Ehi, c’è bisogno di aiuto?
Ehi, si sente male.
La testa si alzò appena, una voce stentata coprì appena il sottofondo del
motore:
Mi aiuti, la prego.
Scesi veloce di macchina mentre rapide ipotesi mi correvano in testa ed in
pochi passi gli fui vicino.
Sta male, chiamo un’ambulanza?
Sui trentacinque anni, curato, una voglia di lato al mento.
Non riesco a muovermi
Chiamo un’ambulanza.
No aspetti, sto bene solo non riesco a muovermi.
Non capisco …
Neanch’io … o meglio sì … è la prima volta che muovo questo corpo, non so
come si fa …
….?
E’ tutto il pomeriggio che ci provo e sono solo riuscito a muovere bene gli
occhi e da poco la bocca … all’inizio urlavo e non usciva niente.
Continuo a non capire … non è che è … sì insomma … che ha bevuto qualcosa
di troppo?
No, no no davvero … non sono ubriaco … mi aiuti solo a tenere su la testa
non comando bene il collo.
Con imbarazzo gli presi la testa e l’alzai, due occhi svegli ed acuti
rimandavano un senso di smarrimento. La testa tendeva a cedere e solo con
evidenti sforzi del collo rimaneva in equilibrio ciondolando.
Allora gli spostai un poco il busto ed in qualche modo gli rimase su con
più facilità.
Così va molto meglio, grazie …
Anche la voce sembrava migliorata, più chiara.
Che è successo?
Ma non lo so, tutto così d’improvviso … non mi era mai accaduto prima …
Adesso però bisogna chiamare qualcuno.
No la prego, voglio provare a farcela … forse tra un pochino ci riesco,
comincio a capire come si fa.
Ma non è che può stare così tutto bagnato abbia pazienza, si prende un
accidente se già non … voglio dire … non mi sembra proprio il caso …
Sì è vero, sento un po’ freddo però … è piacevole …
…
Ascolti, le racconto tutto così forse mi aiuta a capire … però la prego,
prenda un ombrello lei, che è inutile che si bagni.
… Mah non so … non …
La prego, davvero … solo due minuti e poi facciamo come vuole lei.
Stranito tornai verso l’auto, aprii la portiera, m’infilai, spensi il
motore, presi dal sedile accanto l’ombrello, uscii, aprii l’ombrello, mi
diressi verso la panchina. La pioggia tamburellava cadenzata sul telo.
Non la invito ovviamente a sedere … dunque … mi chiamo Pietro Ammucchiati e
lavoro alla SAE, due palazzi più in là, ufficio Contabilità.
Sì, so dov’è … Piacere … Mi chiamo Pietro anch’io, Pietro Ruperti … anch’io
all’ufficio contabilità, Assicurazioni Generali però, sono vicine al suo
palazzo.
Guardi le combinazioni … Pietro non è più un nome molto comune al giorno
d’oggi … Dunque le dicevo … Oggi pomeriggio è venuto qui al bar a prendersi un
caffè dopo il pranzo, dopo si è seduto qui probabilmente per un paio di minuti,
cioè quella era l’intenzione che poi aveva del lavoro in ufficio e già
minacciava acqua quando …
Mi scusi, con chi è venuto a prendere il caffè, non ho capito, chi era il
suo collega?
No no, intendevo lui … cioè io, insomma lui con questo corpo.
No … non credo d’aver capito bene …
Ma è così semplice, lui è venuto qui e poi d’improvviso phuff, niente,
andato, più nessuno e io lì che non ero più dentro dentro ma ero diventato
tutto io e non sapevo cosa fare, come le ho detto non mi era mai capitato prima
…
Lo guardai cercando nei suoi occhi la prova che mi stava prendendo in giro ma lo sguardo era quello di uno che ha
appena detto una cosa ovvia; allora cominciai veramente a preoccuparmi pensando
intanto a cosa bisogna fare quando si tratta con uno con il cervello fritto … assecondare
… sì e poi?
Mi guardai attorno in cerca di qualcuno.
Ah capisco …
Non è vero, non capisce e gli si legge negli occhi.
Bé, in effetti non mi è proprio tutto tutto ben chiaro … magari se me lo
rispiega …
Mi creda è tutto vero, io prima ero dentro a questo corpo ma c’era lui che
lo comandava ed io non potevo muoverlo e adesso invece ci sono solo io!
E non può muovere il corpo …
Sì è vero ma è diverso … guardi adesso riesco a muovere le dita della mano …
le sento le dita … sono mie … è meraviglioso!
Le dita della mano sinistra si arcuavano e stiravano mentre il braccio
sembrava tremare di uno sforzo doloroso
E’ bello, oh Dio è bellissimo … sono le mie dita … aspetti provo
quell’altra mano.
Così dicendo torse il collo in direzione dell’altro braccio che si mise a
tremolare ma la mano restava dischiusa come una cosa morta.
Forse tra qualche minuto … oggi non riuscivo nemmeno ad aprire gli occhi e
guardi adesso che progressi!… Ma lei non può capire!
Mi dice chi sarebbe quel … lui?
Ma è quello con cui nasciamo no!
…?
E’ quello che è dentro il nostro corpo quando nasciamo. Senz’altro l’ha
anche lei, anzi proprio adesso sarà lì che ci sta osservando parlare … ma lei
ovviamente non può saperlo, non c’è collegamento tra lei lei e quello lì
dentro, lo so bene io … quante volte sarei voluto intervenire ed invece niente …
…?!
Pietro ma non capisce?
No! Non ci capisco proprio un cazzo. Pietro.
Io ero dentro e lui era … tutto ma adesso sono io ad essere tutto … e
quello che si chiama Pietro Ammucchiati non c’è più.
Ma non aveva detto che è lei che si chiama Pietro Ammucchiati?
Mah veramente … ho sempre sentito di chiamarmi così visto che lo chiamavano
in questo modo ed io che ero dentro … però adesso che ci penso non lo so più …
E sto Pietro chiamiamolo uno, ora dov’è, dove sarebbe secondo lei, Pietro
due?
...? Non c’è più!
Magari adesso è dentro di lei?… che so magari fate un po’ per uno …
Ma no! E’ chiaro! Io sono la mia anima! E adesso sono libera! Guardi!
Guardi … riesco un po’ a muovere le gambe.
Le ginocchia gli facevano giacomo giacomo mentre un sorriso piegato gli
illuminava gli occhi ed il volto sotto sforzo. Anche a me le gambe cominciarono
a fare giacomo giacomo però non sorridevo.
Di scatto una gamba gli si allungò smuovendo la pozzanghera ai suoi piedi.
Ce la faccio, ce la faccio!
Poi, con gesti innaturali, riuscì a portarsi la mano sinistra in grembo.
Piano la levò verso il proprio volto. Rimase come incantato a rimirare quelle
dita che serpeggiavano.
Questa è la mia mano! E’ LA MIA MANO!
…
Mi dia la sua mano la prego …
…
La prego, voglio stringere la sua mano … non tema, non voglio mica farle
del male!
Feci per allungare titubante la destra e subito corressi il gesto porgendo
la sinistra. La sua mano stesa la aspettava e quasi la artigliò in una stretta
tremante.
E’ la prima volta che stringo veramente una mano! L’ho sempre visto
soltanto fare … E’ una strana sensazione sa?… Se mi aiuta, sento che ce la
faccio ad alzarmi in piedi … Mi sento un’energia meravigliosa …
Abbracciandolo in qualche modo con la destra che reggeva l’ombrello riuscii
quasi a sollevarlo ma le gambe gli cedevano e ricadde seduto.
Si riposi ancora un attimo, proviamo tra poco; ma scusi una domanda, se lei
è l’anima di Pietro uno allora Pietro uno magari è morto … però le anime di
solito non prendono il posto di quello che è morto … le anime a quel che se ne
sa volano via … allora forse lei è la sua coscienza, di Pietro uno voglio dir e
… ma anche così non torna … non torna nulla sa?!
Ma chi se ne frega, mi scusi, se sono o non sono la coscienza o l’animaccia
di Pietro uno, IO SONO PIETRO AMMUCCHIATI, Ne’ UNO Ne’ DUE, PIETRO AMMUCCHIATI
E BASTA!
Non si agiti, ho capito, ho capito.
Che cos’è che ha capito?
Credo che lei abbia un po’ di confusione in testa. A proposito, non è che
abbia picchiato o qualcuno gli abbia dato una botta? Sa, questo spiegherebbe il
fatto dei due che poi ce n’è uno solo …
Lei non capisce e non mi crede.
…
In effetti arrivo a comprenderla sa?… non è facile per lei, lei è quello
fuori e non sa di quello dentro, quello come me.
Sì, adesso abbiamo anche Pietro tre e Pietro quattro, quello dentro … così
ci facciamo una bella briscola a coppie.
E la bella a tresette.
No, non ci so giocare … Comunque adesso è meglio mettere un punto, si è
fatto tardi e vedo che non posso aiutarla più di tanto …
Cercai in tasca e tirai fuori il cellulare.
Adesso che fa?
Chiamo il 113 e faccio mandare un’ambulanza, che se la vedano un po’ loro …
Aspetti, aspetti …
Ma che aspetto, aspetto proprio niente!
Il cellulare si mise a suonare. L’eroica di Beethoven accompagnò il
messaggio di “chiamata in arrivo”.
Ecco appunto, dicevo, aspetti, prima risponda al telefono.
Lo fulminai con un’occhiata poi schiacciai il pulsante.
… Si pronto?… Ah ciao cara … sì arrivo, arrivo … no, ho fatto tardi in
ufficio e poi adesso sto dando una mano ad un collega, la macchina non gli
parte … chi è?… No non lo conosci … hai ragione amore, dovevo avvisare ma sai
com’è, m’è passato … tranquilla, mezz’oretta e sono lì … ciao amore, ciao.
Vede che ha fatto bene ad aspettare, guardi qui, mi alzo in piedi da solo …
è bello, E’ BELLO!!!… PIETRO! … Ma si rende conto, ogni secondo che passa riesco
sempre meglio … Tutta una vita e mai avrei mai immaginato che fosse così vivido
…
Vedo vedo, in effetti un recupero prodigioso … se di recupero si può
parlare …
Cosa intende dire?
Ma niente, niente … solo che … insomma, fino a cinque minuti fa sembrava un
morto e adesso tutto a tratto …
Cosa pensa, che magari prima scherzavo? Che me ne stavo lì come un
imbecille ad aspettare lei, sotto la pioggia, su questa panchina, per fare la
sceneggiata quando arrivava?
No che centra, non è quello il discorso …
E allora quale? Ma lo sa lei cosa vuol dire trovarsi all’improvviso a dover
gestire un corpo che non le è mai appartenuto? Non è mica facile sa guidarlo …
Ma scusi, lei tutto questo tempo dov’era?
….?
Ecco vede, non sa rispondere; e lo sa perché non sa rispondere? Perché lei è sempre stato lei ma oggi ha avuto
una … amnesia, ecco giusto, un’amnesia temporanea che l’ha scombussolata … e
adesso sta lentamente tornando in sé. Anzi sa cosa le dico, tra un pochino le
verrà in mente tutto, solo ci vuole un po’ di pazienza e poi riposo, tanto
riposo, si sa il lavoro, lo stress …
… Ma io me lo ricordo bene dov’ero, solo non lo so spiegare … si insomma io
stavo dietro gli occhi di … di “quel” Pietro e osservavo, osservavo, osservavo …
Osservava?
Osservavo.
E cosa vedeva?
Tutto. Ero sempre lì …
E allora quando “quel” Pietro dormiva lei cosa faceva, cosa vedeva?
Vedere non vedevo niente … pensavo.
Ma uno dopo un po’ si rompe i coglioni di stare lì ad osservare e a
pensare, o no?
… Per me era naturale, ci sono nato così lì dentro. Fin da piccolo. Stavo
lì.
E ora?
Ora sono … qui. Che strano … è davvero strano sentirsi tutto …
Tutto cosa?
Tutto.
Lo disse con tono stanco, triste. Gli occhi gli si fecero di un tratto
pensosi, sembravano guardare un posto lontano. Mi colpì quello sguardo, fece
una breccia definitiva nello scetticismo che mi aveva finora sorretto.
… Pietro
…..
Pietro?
… sì?
Si riscosse, lo sguardo era di nuovo vigile.
Sorrise, aperto.
- Mi sento proprio bene, sono tutto intero; ora bisogna davvero che vada … non
vorrà che mi prendo una polmonite con questi abiti fradici...
… Cioè?… cosa intende fare, dove vuole andare?
A prendere la macchina e poi a casa mia, dove se no? Tra l’altro c’è una
moglie che mi aspetta e voglio sperimentare una cosuccia di persona …
Ah … allora … tutto bene così, voglio dire … posso andare.
Sì sì grazie Pietro, mi è stato di grandissimo aiuto, dico davvero;
piuttosto teniamoci in contatto, magari uno di questi giorni si va a bere
qualcosa assieme, tanto dove lavora lo so e la chiamo io … Ancora tante grazie
davvero.
Mi strinse la mano con una stretta robusta, mi dette con l’altra un
colpetto sull’avambraccio, mi sorrise con gli occhi.
Allora … Arrivederci … Pietro …
Arrivederci anche a lei, Pietro.
Si voltò ed imboccò a passo deciso il marciapiede. Restai solo, l’ombrello
in mano, la pioggia tintinnava sulla tela. Ristetti a guardarlo, ascoltando lo
scalpiccio che si allontanava, era buffo, faceva squish squosh, squish squosh,
squish squosh…
Mi giunse un ultimo flebile squish, girò il cantone, mi persi lo
squosh.
Non si voltò nemmeno una volta.
In macchina verso casa continuavo a rivivere quello strano incontro
proiettato come in un film, rivedevo tanti piccoli spezzoni che dovevo cercavo
di rimontare fotogramma per fotogramma perché avessero un senso e senso non ne
avevano.
Lottavo con il mal di testa che in sordina aveva dapprima pulsato ed
adesso, dandogli attenzione, a bussarmi alla fronte.
Non vedevo l’ora d’essere a casa, alla sicurezza delle mie pareti, alla
quiete. Pensavo ad un’aspirina e ad un bicchiere di latte caldo. Pensavo al
letto ed al silenzio.
Pump pump mi faceva la fronte, pump pump ed un attimo di tregua, pump pump
e dolorosa attesa …
Mi venne comunque da sorridere ad un’immagine curiosa che mi si era formata
… e se quel pump pump che mi martellava fosse stato in realtà il mio “dentro”,
quello che non conoscevo, quel famoso Pietro quattro per così dire, che batteva
alle pareti per farsi sentire … da me … ascolta … ascoltami è vero … ci sono,
son qua, son qua dentro …
Ci mancava solo questa. Parcheggiai proprio sotto casa, in due passi fui al
portone, suonai, lo scatto dello scrocco, la rampa di scale, era fatta.
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