Sarvegu: dialetto genovese, agg. selvatico/selvaggio/rustico
per estensione, sost. persona che non dà confidenze /che non gradisce smancerie / non incline alla socialità di facciata / orso.

domenica 2 dicembre 2012

Il signor Giovanni ci ha lasciato (un mio racconto)





C
hissà poi perché Giovanni era andato al mare quel giorno.
La mattina era uscito presto come il solito per andare dalla figlia, nel paese vicino, c'era da prendere i nipoti e portarli a scuola; un impegno quotidiano che s'era preso già da tempo.
Un po' per una sorta di senso del dovere, aiutare finché si può, un po' perché gli dava qualcosa da fare, un motivo in più per alzarsi la mattina che tanto dormiva poco e alle sei era comunque già in pista, un po' perché gli faceva piacere vedere quei figlioli infilarsi nel portone della scuola che quasi gli sembrava doverci andare lui in classe, un po' perché... insomma tanti piccoli perché tant'è che lo faceva, anche se a volte è sacrificio.
Quella mattina mentre li accompagnava, a piedi tanto la scuola distava poco e la giornata era veramente bella, una qualche loro parola gli richiamò nitida la visione del mare.

Un'immagine improvvisa, luminosa, calda di un tepore accogliente.
Chissà, forse il ricordo di un mattino chissà quanti anni fa, lui ragazzino, un'immagine durata l'impressione di un momento ma che lo aveva fatto decidere: sarebbe andato al mare.
Portati i bimbi, tornato a casa dalla figlia, due parole del più e del meno, declinato l'invito a pranzo e poi via, aveva preso su con la macchina verso il mare.
A dire il vero verso metà strada gli era venuto da chiedersi che cosa ci andasse a fare al mare, aveva anche trovato una bella lista di validi motivi per rinunciare. Invece, quasi per ripicca, si era detto no, ci vado lo stesso.
Com'è diverso il mare d'inverno.
Era sì una splendida mattinata d'ottobre, tanto che il sole scaldava ben bene e il giaccone lo portava sottobraccio, anzi, lo stesso maglioncino era quasi un di più.
Però ti accorgi che è un'altra cosa, è diverso, è una sensazione diversa.
Intanto la passeggiata è vuota, giusto due anziani come lui che portano a spasso il cane. Al porticciolo poi le barche stanno quiete a crogiolarsi al sole, in silenzio, sciabordando discrete.
La spiaggia, bé quella è proprio un altro mondo.
Il mare s'è fatto strada, ha spianato ben oltre il confine che ti ricordi e ha segnato la sua nuova frontiera con una larga striscia d'alghe morte.
Più il là invece ha scavato, eroso, strappato lasciando alte sponde frastagliate e franose.
Tra la sabbia levigata, bastoni bastoncini e tronchi contorti.
E Bottiglie di plastica, uno zoccolo di sughero, conchiglie, la testa di una bambola, un copertone d'auto mezzo sepolto.
Appena un po' in qui della battigia le orme dei gabbiani.
Su tutto lo sciacquettio della risacca, una nenia serena.
È tutto uguale e tutto è diverso, come spesso ti accade quando confronti il ricordo.
Camminare sulla sabbia sembra di fare chissà quanta strada ora che mancano i punti di riferimento.
Invece lo stabilimento è lì, le porte chiuse delle cabine e la zattera del bagnino addossata al muro.
C'è un senso di sgombero.
Delle risa.
In un angolo appena più riparato una coppia di ragazzini si sbaciucchia; ragazzini per modo di dire, avranno ben più di vent'anni... bé appunto, ragazzini.
Il pensiero è lasciato libero di spaziare dove vuole e con naturalezza volge al passato.
Ritrovi emozioni, ripassi momenti che non ricordavi di avere vissuto, e sempre c'è il ricordo di lei.
Se n'è andata, per sempre, è ormai già più di un anno.
C'è quel bar che sta sempre aperto, quello con la terrazza sospesa sui piloni di legno, come le palafitte.
Il sole entrava sotto il tetto ad illuminare il pavimento di spesse tavole di legno, le fessure che lasciano vedere strette strisce di spiaggia giù sotto.
Si era seduto al tavolino con soddisfazione, lo sguardo che spaziava su così tanto mare; il caffè, preso poi tanto per prendere qualcosa, era stato invece una piacevole e tonica sorpresa.
Stava bene, c'era pace nel suo cuore, era sereno.
In lontananza un puntolino si muoveva sulla spiaggia; pian piano anche con la vista era riuscito a distinguere la forma di un uomo che camminava; poco alla volta poi i particolari.
Un uomo distinto, un completo di un bel grigio scuro, si muoveva senza fretta ma con metodo, un passo dopo l'altro.
Una camicia chiara e una cravatta di un tono di rosso discreto.
Il cappello in testa, un Borsalino.
Pochi portano quel tipo di copricapo, e di questi meno ancora lo sanno portare.
Un tipo distinto davvero.
Aveva tagliato in diagonale per la spiaggia verso la terrazza senza variare il suo passo.
Per un attimo aveva alzato lo sguardo come a controllare che ciò che cercava fosse effettivamente ancora lì, e a Giovanni era sembrato, chissà poi perché, che quell'uomo cercasse proprio lui.
Per strana che fosse l'idea, gli sarebbe piaciuto fosse vera; uno sconosciuto veniva da lui a portargli chissà quali nuove notizie.
L'aveva perso di vista quando era arrivato sotto la terrazza ma ne aveva ascoltato i passi sulla scaletta, dall'altra parte, ed infine l'uomo comparve; era un giovane.
Ristette un attimo, guardò Giovanni, si diresse verso di lui.
Giunto al tavolo si tolse il cappello con un gesto pulito ed assieme elegante, tenendolo in mano per il saluto.
- Buongiorno signor Giovanni.
Immersi nel porpora della cravatta tanti piccoli gigli di Firenze di un bel giallo pastello.
Posò il cappello sul tavolo, un po' di lato che non desse fastidio, si accomodò sulla sedia di fronte a Giovanni, composto.
- Vengo a dirle che è per oggi.
Giovanni era stupito e felice.
Il volto del giovane era ben formato, i capelli tagliati corti di un biondo accesissimo, trasparente, profondi occhi chiari.
Un tedesco gli venne da pensare, uno di quelli buoni.
Duro ma giusto.
Solo per un attimo Giovanni ebbe un dubbio.
- Fa male ? chiese allo sconosciuto.
- No, direi proprio di no; è piuttosto come lo si affronta che può fare la differenza.
Sembrò riflettere un attimo sulla risposta data, poi aggiunse:
- Comunque è da fare.
- Come  ... come si chiama lei?
- Gabriele.
Giovanni si alzò poggiando le mani sul tavolo ma non c'era tremore, nemmeno nel cuore.
Anzi, un piacevole senso di quieta attesa.
- Bene, signor Gabriele - disse, - se vogliamo andare...

1 commento:

  1. questo racconto è molto bello perchè mi ricorda tanto una persona che purtroppo ora non c'è più e che è stata una figura importante nella mia vita.

    Grazie Sarvegu

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