Sarvegu: dialetto genovese, agg. selvatico/selvaggio/rustico
per estensione, sost. persona che non dà confidenze /che non gradisce smancerie / non incline alla socialità di facciata / orso.

sabato 27 aprile 2013

Pietro dentro (Un mio racconto)

l'ho trovata qui: http://lepoesiediemilio.blogspot.it/2011_10_01_archive.html


PIETRO DENTRO

Appena varcata la rampa del parcheggio sotterraneo la pioggia sottile riempì il vetro e con gesto automatico inserii il tergicristallo, media velocità.
Nel tardo pomeriggio l’acquazzone era iniziato improvviso ed arrabbiato, picchiettando alla finestra dell’ufficio al penultimo piano del palazzo dove lavoro, ma immerso tra le carte ed al riparo non ci avevo dato che un’occhiata di sfuggita.
Avevo fatto più tardi del solito ma adesso la giornata era proprio finita e mi attendeva un sicuro e tranquillo tran tran in famiglia.

Girai a destra percorrendo il breve viale prima di immettermi su quello principale dove confluivano tutti i piccoli viali dell’alveare di palazzi del quartiere commerciale; c’era ormai pochissimo traffico ma mentalmente valutai il possibile intasamento sull’imbocco della tangenziale; in accelerazione passai accanto alla piccola piazza poco dopo l’unico bar della zona, ormai con le insegne spente da ben più di un’ora.
Con la coda dell’occhio colsi un che di incongruo su una delle panchine.
Mi era parso di vedere come un manichino seduto su una di queste.
Detti un’occhiata al retrovisore ma la siepe di bosso che limitava la piazzetta mi precluse subito la vista e scrollai la testa con noncuranza.
Qualche istante dopo il cervello mi proiettò l’immagine di un uomo.
Seduto sulla panchina.
Sotto la pioggia.
Un barbone, l’immediata risposta.
Sotto la pioggia, però.
E allora?
Niente, solo un barbone sotto la pioggia, puoi proseguire pure tranquillo.
Sentendomi uno stupido il piede si alzò dall’acceleratore, verificai dal retrovisore e feci inversione.
Arrivai ed accostai con lentezza, pronto all’azione se qualcosa di anomalo fosse in agguato ma anche convinto e speranzoso d’essermi sbagliato, in modo da poter ripartire con la tranquillità del samaritano felicemente mancato.
Era proprio un uomo.
Il vestito scuro sotto il giaccone aperto, seduto con le gambe accavallate, le braccia aperte sullo schienale, della panchina.
Sotto la pioggia.
Il volto piegato sul petto, i capelli schiacciati dall’acqua, il vestito che sgocciolava nella pozzanghera ai suoi piedi.
Immobile.
Infarto, pensai, questo è già bell’e morto e nessuno se n’è accorto.
Motore sempre al minimo, giù il finestrino.
Ehi, c’è bisogno di aiuto?
Ehi, si sente male.
La testa si alzò appena, una voce stentata coprì appena il sottofondo del motore:
Mi aiuti, la prego.
Scesi veloce di macchina mentre rapide ipotesi mi correvano in testa ed in pochi passi gli fui vicino.
Sta male, chiamo un’ambulanza?
Sui trentacinque anni, curato, una voglia di lato al mento.
Non riesco a muovermi
Chiamo un’ambulanza.
No aspetti, sto bene solo non riesco a muovermi.
Non capisco …
Neanch’io … o meglio sì … è la prima volta che muovo questo corpo, non so come si fa …
….?
E’ tutto il pomeriggio che ci provo e sono solo riuscito a muovere bene gli occhi e da poco la bocca … all’inizio urlavo e non usciva niente.
Continuo a non capire … non è che è … sì insomma … che ha bevuto qualcosa di troppo?
No, no no davvero … non sono ubriaco … mi aiuti solo a tenere su la testa non comando bene il collo.
Con imbarazzo gli presi la testa e l’alzai, due occhi svegli ed acuti rimandavano un senso di smarrimento. La testa tendeva a cedere e solo con evidenti sforzi del collo rimaneva in equilibrio ciondolando.
Allora gli spostai un poco il busto ed in qualche modo gli rimase su con più facilità.
Così va molto meglio, grazie …
Anche la voce sembrava migliorata, più chiara.
Che è successo?
Ma non lo so, tutto così d’improvviso … non mi era mai accaduto prima …
Adesso però bisogna chiamare qualcuno.
No la prego, voglio provare a farcela … forse tra un pochino ci riesco, comincio a capire come si fa.
Ma non è che può stare così tutto bagnato abbia pazienza, si prende un accidente se già non … voglio dire … non mi sembra proprio il caso …
Sì è vero, sento un po’ freddo però … è piacevole …
Ascolti, le racconto tutto così forse mi aiuta a capire … però la prego, prenda un ombrello lei, che è inutile che si bagni.
… Mah non so … non …
La prego, davvero … solo due minuti e poi facciamo come vuole lei.
Stranito tornai verso l’auto, aprii la portiera, m’infilai, spensi il motore, presi dal sedile accanto l’ombrello, uscii, aprii l’ombrello, mi diressi verso la panchina. La pioggia tamburellava cadenzata sul telo.
Non la invito ovviamente a sedere … dunque … mi chiamo Pietro Ammucchiati e lavoro alla SAE, due palazzi più in là, ufficio Contabilità.
Sì, so dov’è … Piacere … Mi chiamo Pietro anch’io, Pietro Ruperti … anch’io all’ufficio contabilità, Assicurazioni Generali però, sono vicine al suo palazzo.
Guardi le combinazioni … Pietro non è più un nome molto comune al giorno d’oggi … Dunque le dicevo … Oggi pomeriggio è venuto qui al bar a prendersi un caffè dopo il pranzo, dopo si è seduto qui probabilmente per un paio di minuti, cioè quella era l’intenzione che poi aveva del lavoro in ufficio e già minacciava acqua quando …
Mi scusi, con chi è venuto a prendere il caffè, non ho capito, chi era il suo collega?
No no, intendevo lui … cioè io, insomma lui con questo corpo.
No … non credo d’aver capito bene …
Ma è così semplice, lui è venuto qui e poi d’improvviso phuff, niente, andato, più nessuno e io lì che non ero più dentro dentro ma ero diventato tutto io e non sapevo cosa fare, come le ho detto non mi era mai capitato prima …
Lo guardai cercando nei suoi occhi la prova che mi stava prendendo  in giro ma lo sguardo era quello di uno che ha appena detto una cosa ovvia; allora cominciai veramente a preoccuparmi pensando intanto a cosa bisogna fare quando si tratta con uno con il cervello fritto … assecondare … sì e poi?
Mi guardai attorno in cerca di qualcuno.
Ah capisco …
Non è vero, non capisce e gli si legge negli occhi.
Bé, in effetti non mi è proprio tutto tutto ben chiaro … magari se me lo rispiega …
Mi creda è tutto vero, io prima ero dentro a questo corpo ma c’era lui che lo comandava ed io non potevo muoverlo e adesso invece ci sono solo io!
E non può muovere il corpo …
Sì è vero ma è diverso … guardi adesso riesco a muovere le dita della mano … le sento le dita … sono mie … è meraviglioso!
Le dita della mano sinistra si arcuavano e stiravano mentre il braccio sembrava tremare di uno sforzo doloroso
E’ bello, oh Dio è bellissimo … sono le mie dita … aspetti provo quell’altra mano.
Così dicendo torse il collo in direzione dell’altro braccio che si mise a tremolare ma la mano restava dischiusa come una cosa morta.
Forse tra qualche minuto … oggi non riuscivo nemmeno ad aprire gli occhi e guardi adesso che progressi!… Ma lei non può capire!
Mi dice chi sarebbe quel … lui?
Ma è quello con cui nasciamo no!
…?
E’ quello che è dentro il nostro corpo quando nasciamo. Senz’altro l’ha anche lei, anzi proprio adesso sarà lì che ci sta osservando parlare … ma lei ovviamente non può saperlo, non c’è collegamento tra lei lei e quello lì dentro, lo so bene io … quante volte sarei voluto intervenire ed invece niente …
…?!
Pietro ma non capisce?
No! Non ci capisco proprio un cazzo. Pietro.
Io ero dentro e lui era … tutto ma adesso sono io ad essere tutto … e quello che si chiama Pietro Ammucchiati non c’è più.
Ma non aveva detto che è lei che si chiama Pietro Ammucchiati?
Mah veramente … ho sempre sentito di chiamarmi così visto che lo chiamavano in questo modo ed io che ero dentro … però adesso che ci penso non lo so più …
E sto Pietro chiamiamolo uno, ora dov’è, dove sarebbe secondo lei, Pietro due?
...? Non c’è più!
Magari adesso è dentro di lei?… che so magari fate un po’ per uno …
Ma no! E’ chiaro! Io sono la mia anima! E adesso sono libera! Guardi! Guardi … riesco un po’ a muovere le gambe.
Le ginocchia gli facevano giacomo giacomo mentre un sorriso piegato gli illuminava gli occhi ed il volto sotto sforzo. Anche a me le gambe cominciarono a fare giacomo giacomo però non sorridevo.
Di scatto una gamba gli si allungò smuovendo la pozzanghera ai suoi piedi.
Ce la faccio, ce la faccio!
Poi, con gesti innaturali, riuscì a portarsi la mano sinistra in grembo. Piano la levò verso il proprio volto. Rimase come incantato a rimirare quelle dita che serpeggiavano.
Questa è la mia mano! E’ LA MIA MANO!
Mi dia la sua mano la prego …
La prego, voglio stringere la sua mano … non tema, non voglio mica farle del male!
Feci per allungare titubante la destra e subito corressi il gesto porgendo la sinistra. La sua mano stesa la aspettava e quasi la artigliò in una stretta tremante.
E’ la prima volta che stringo veramente una mano! L’ho sempre visto soltanto fare … E’ una strana sensazione sa?… Se mi aiuta, sento che ce la faccio ad alzarmi in piedi … Mi sento un’energia meravigliosa …
Abbracciandolo in qualche modo con la destra che reggeva l’ombrello riuscii quasi a sollevarlo ma le gambe gli cedevano e ricadde seduto.
Si riposi ancora un attimo, proviamo tra poco; ma scusi una domanda, se lei è l’anima di Pietro uno allora Pietro uno magari è morto … però le anime di solito non prendono il posto di quello che è morto … le anime a quel che se ne sa volano via … allora forse lei è la sua coscienza, di Pietro uno voglio dir e … ma anche così non torna … non torna nulla sa?!
Ma chi se ne frega, mi scusi, se sono o non sono la coscienza o l’animaccia di Pietro uno, IO SONO PIETRO AMMUCCHIATI, Ne’ UNO Ne’ DUE, PIETRO AMMUCCHIATI E BASTA!
Non si agiti, ho capito, ho capito.
Che cos’è che ha capito?
Credo che lei abbia un po’ di confusione in testa. A proposito, non è che abbia picchiato o qualcuno gli abbia dato una botta? Sa, questo spiegherebbe il fatto dei due che poi ce n’è uno solo …
Lei non capisce e non mi crede.
In effetti arrivo a comprenderla sa?… non è facile per lei, lei è quello fuori e non sa di quello dentro, quello come me.
Sì, adesso abbiamo anche Pietro tre e Pietro quattro, quello dentro … così ci facciamo una bella briscola a coppie.
E la bella a tresette.
No, non ci so giocare … Comunque adesso è meglio mettere un punto, si è fatto tardi e vedo che non posso aiutarla più di tanto …
Cercai in tasca e tirai fuori il cellulare.
Adesso che fa?
Chiamo il 113 e faccio mandare un’ambulanza, che se la vedano un po’ loro …
Aspetti, aspetti …
Ma che aspetto, aspetto proprio niente!
Il cellulare si mise a suonare. L’eroica di Beethoven accompagnò il messaggio di “chiamata in arrivo”.
Ecco appunto, dicevo, aspetti, prima risponda al telefono.
Lo fulminai con un’occhiata poi schiacciai il pulsante.
… Si pronto?… Ah ciao cara … sì arrivo, arrivo … no, ho fatto tardi in ufficio e poi adesso sto dando una mano ad un collega, la macchina non gli parte … chi è?… No non lo conosci … hai ragione amore, dovevo avvisare ma sai com’è, m’è passato … tranquilla, mezz’oretta e sono lì … ciao amore, ciao.
Vede che ha fatto bene ad aspettare, guardi qui, mi alzo in piedi da solo … è bello, E’ BELLO!!!… PIETRO! … Ma si rende conto, ogni secondo che passa riesco sempre meglio … Tutta una vita e mai avrei mai immaginato che fosse così vivido …
Vedo vedo, in effetti un recupero prodigioso … se di recupero si può parlare …
Cosa intende dire?
Ma niente, niente … solo che … insomma, fino a cinque minuti fa sembrava un morto e adesso tutto a tratto …
Cosa pensa, che magari prima scherzavo? Che me ne stavo lì come un imbecille ad aspettare lei, sotto la pioggia, su questa panchina, per fare la sceneggiata quando arrivava?
No che centra, non è quello il discorso …
E allora quale? Ma lo sa lei cosa vuol dire trovarsi all’improvviso a dover gestire un corpo che non le è mai appartenuto? Non è mica facile sa guidarlo …
Ma scusi, lei tutto questo tempo dov’era?
….?
Ecco vede, non sa rispondere; e lo sa perché non sa rispondere?  Perché lei è sempre stato lei ma oggi ha avuto una … amnesia, ecco giusto, un’amnesia temporanea che l’ha scombussolata … e adesso sta lentamente tornando in sé. Anzi sa cosa le dico, tra un pochino le verrà in mente tutto, solo ci vuole un po’ di pazienza e poi riposo, tanto riposo, si sa il lavoro, lo stress …
… Ma io me lo ricordo bene dov’ero, solo non lo so spiegare … si insomma io stavo dietro gli occhi di … di “quel” Pietro e osservavo, osservavo, osservavo …
Osservava?
Osservavo.
E cosa vedeva?
Tutto. Ero sempre lì …
E allora quando “quel” Pietro dormiva lei cosa faceva, cosa vedeva?
Vedere non vedevo niente … pensavo.
Ma uno dopo un po’ si rompe i coglioni di stare lì ad osservare e a pensare, o no?
… Per me era naturale, ci sono nato così lì dentro. Fin da piccolo. Stavo lì.
E ora?
Ora sono … qui. Che strano … è davvero strano sentirsi tutto …
Tutto cosa?
Tutto.
Lo disse con tono stanco, triste. Gli occhi gli si fecero di un tratto pensosi, sembravano guardare un posto lontano. Mi colpì quello sguardo, fece una breccia definitiva nello scetticismo che mi aveva finora sorretto.
… Pietro
…..
Pietro?
… sì?
Si riscosse, lo sguardo era di nuovo vigile.
Sorrise, aperto.
- Mi sento proprio bene, sono tutto intero; ora bisogna davvero che vada … non vorrà che mi prendo una polmonite con questi abiti fradici...
… Cioè?… cosa intende fare, dove vuole andare?
A prendere la macchina e poi a casa mia, dove se no? Tra l’altro c’è una moglie che mi aspetta e voglio sperimentare una cosuccia di persona …
Ah … allora … tutto bene così, voglio dire … posso andare.
Sì sì grazie Pietro, mi è stato di grandissimo aiuto, dico davvero; piuttosto teniamoci in contatto, magari uno di questi giorni si va a bere qualcosa assieme, tanto dove lavora lo so e la chiamo io … Ancora tante grazie davvero.
Mi strinse la mano con una stretta robusta, mi dette con l’altra un colpetto sull’avambraccio, mi sorrise con gli occhi.
Allora … Arrivederci … Pietro …
Arrivederci anche a lei, Pietro.
Si voltò ed imboccò a passo deciso il marciapiede. Restai solo, l’ombrello in mano, la pioggia tintinnava sulla tela. Ristetti a guardarlo, ascoltando lo scalpiccio che si allontanava, era buffo, faceva squish squosh, squish squosh, squish squosh…
Mi giunse un ultimo flebile squish, girò il cantone, mi persi lo squosh. 
Non si voltò nemmeno una volta.
In macchina verso casa continuavo a rivivere quello strano incontro proiettato come in un film, rivedevo tanti piccoli spezzoni che dovevo cercavo di rimontare fotogramma per fotogramma perché avessero un senso e senso non ne avevano.
Lottavo con il mal di testa che in sordina aveva dapprima pulsato ed adesso, dandogli attenzione, a bussarmi alla fronte.
Non vedevo l’ora d’essere a casa, alla sicurezza delle mie pareti, alla quiete. Pensavo ad un’aspirina e ad un bicchiere di latte caldo. Pensavo al letto ed al silenzio.
Pump pump mi faceva la fronte, pump pump ed un attimo di tregua, pump pump e dolorosa attesa …
Mi venne comunque da sorridere ad un’immagine curiosa che mi si era formata … e se quel pump pump che mi martellava fosse stato in realtà il mio “dentro”, quello che non conoscevo, quel famoso Pietro quattro per così dire, che batteva alle pareti per farsi sentire … da me … ascolta … ascoltami è vero … ci sono, son qua, son qua dentro …
Ci mancava solo questa. Parcheggiai proprio sotto casa, in due passi fui al portone, suonai, lo scatto dello scrocco, la rampa di scale, era fatta.

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